Il pezzo che mancava
- cosessenziale
- 2 dic 2020
- Tempo di lettura: 5 min

Martedì scorso è uscito il pezzo di Martino in risposta al mio e devo dire che era una settimana che aspettavo di pubblicarlo, ma tra una cosa e l'altra e le duemila revisioni che ha fatto - sporco perfezionista che non è altro - sono riuscita a metterlo solo quando ho ricevuto il consenso del puntiglioso autore.
Ero veramente entusiasta: mi aveva dato una serenità di fondo per due motivi principalmente
Non ero l'unica a sentirmi così e vi assicuro che, se siete paranoici, scoprire di non essere pazzi è un toccasana ogni tanto.
Mi ha dato una sorta di scusa, anche se un filettino - sì è un eufemismo - pessimista, per non sentirmi in dovere di essere la perfezione incarnata.
Pensavo mi bastasse questo ed ero davvero soddisfatta, così come tutti gli autori dei feedback positivi che ho ricevuto. Tutti tranne uno, che mi ha dato una scossa.
Come ho già detto in altra sede, è facile adagiarsi sugli allori.
Una mia prof del liceo, che stimo molto, dopo aver letto il pezzo, mi ha mandato un messaggio molto semplice: "Ma Chiara, questo non ci basta. Tu cosa diresti?"
Io fino a quel messaggio ero tranquillissima, insomma, fai i conti con te stessa, capisci che non puoi essere perfetta, i tuoi amici nemmeno... ok tutto a posto! Sì, resti insoddisfatto, ma tanto anche gli altri lo sono…
No.
Evidentemente la mera accettazione della condizione di insoddisfazione non è abbastanza. O così mi hanno detto e, per sventura mia, mi tocca condividere.
Sono radicalmente positiva come persona e, di conseguenza, ho condiviso di buon grado le idee di Martino, riservandomi di credere che l'insoddisfazione fosse accettabile in qualche modo, o comunque non dandoci troppo peso.
Beh non avrei dovuto...
Il messaggio che ho ricevuto quella mattina mi ha ricordato quello che spesso mi dimentico e che, paradossalmente, è proprio ciò che ritengo essenziale.
L'insoddisfazione, non è qualcosa che devo nè mi posso permettere di ignorare, ma è ciò che mi rende uomo, il mio tendere sempre verso qualcosa di infinito. È sicuramente una condizione drammatica, struggente, ci disperiamo sempre. Ma davvero non basta accontentarsi pensando che sia irraggiungibile, perché è proprio questo il punto: l'insoddisfazione è un'inquietudine che ci spinge a continuare a cercare, a essere vivi.
L’inquietudine è ciò che ci costituisce come uomini: sì, proprio così, spiace ammetterlo, ma siamo esseri mancanti, incompleti, finiti.
“La noia è il più nobile dei sentimenti umani, in quanto ci mostra l'insufficienza delle cose esistenti di fronte alla grandezza del desiderio nostro”.
Giacomo Leopardi
Se fossimo "quieti" cosa ci animerebbe? Cosa ci spingerebbe ad andare oltre, a cercare di più?
L'insoddisfazione è il punto di svolta che ci rende consapevoli del nostro desiderio di infinito. Siamo così finiti, così fallibili, ma invece che sederci a terra e ammirare quanto fatto, vogliamo tutto e anche quando lo abbiamo non ci basta. E noi dovremmo accettare questa insoddisfazione come un di meno?
Perché non ci basta?
La mia prof mi ha fatto riflettere sulla mia esperienza: quando io sono davvero felice, lieta? La mera soddisfazione non basta, ma non perché l'uomo è condannato all'infelicità... se no la vita sarebbe una fregatura.
Esempio scemo è il mio voto di maturità, di cui vado estremamente fiera. La cosa che a me è interessata appena sono usciti i risultati è stato condividerlo con mia sorella che mi era stata vicina in tutto quel periodo difficile e teso. Volevo che fosse fiera del lavoro che avevo fatto, fiera di me.
Nessuno vuole una soddisfazione fine a se stessa.
Vogliamo essere guardati, amati. Ed è per questo che la soddisfazione per ciò che abbiamo fatto è breve. Perché il nostro desiderio di amore è infinito.
Sta sera ho - per assurdo - fatto tre ore di videochiamata con l'autore dell'articolo e un'altra nostra amica - e, quando ho messo giù mi sono sentita, per la prima volta nella settimana, veramente felice.
È stato incredibile perché quando a loro ho posto le mie questioni, Dani - l'altra amica in chiamata - mi ha chiesto "che cos'è che ti ha reso felice questi giorni? – e ha specificato - Non soddisfatta, ma felice".
La soddisfazione si prova per qualcosa che abbiamo fatto noi; la felicità per qualcosa d’altro da noi che ci completa. Davanti a un tramonto, ricevendo un regalo inaspettato, quando qualcuno ci ama, quando qualcuno ci salva da un pericolo, siamo felici. Quindi… l’insoddisfazione non è un male necessario da accettare stoicamente, ma la nostra principale risorsa. Ci ricorda che non ci bastiamo!
Una splendida notizia.
Quando chi mi ama mi ama perché vado bene così come sono non mi frega nulla della soddisfazione, perché mi sento davvero colma di altro. Altro che non dipende da me. Perché non mi faccio io da sola.
La settimana scorsa l'avevo cominciata sentendo gli altri come un peso e vivendo sempre più in maniera apatica. Mi uccideva perché gli altri erano diventati solo qualcosa che mi rubava il tempo.
Dovevo avere tempo per studiare, per leggere le notizie la mattina, per fare tutto quello che ho in mente. Il risultato è che appena cedeva la voglia, mollavo tutto.
Mi sono sentita davvero felice questa sera quando sono stata costretta a fare una chiamata che rimandavo da troppo e che non volevo fare. Non avevo voglia di sentire i miei amici perché "non avevo tempo". Dovevo studiare, dovevo leggere... dovevo fare qualsiasi altra cosa. Ma la chiamata vi giuro che è stata veramente stupenda perché dopo interi giorni mi sono sentita a posto e sono incredibilmente più soddisfatta e col cuore più pieno, di quanto lo sarei stata dopo una nottata di studio intensivo io e il mio nemico di 1400 pagine.
Devo ricordarmi più spesso di quanto io abbia bisogno dell'altro.
Oggi ho finalmente capito che il pezzo che mancava a Saita è proprio questo: non sarò mai soddisfatto, non sarò mai felice, fino a quando crederò che basto a me stesso per rendermi felice.
Ma non è così - e vi prego, ricordatemelo cavoli! - perché sta sera i miei amici mi hanno raccolta a pezzettini, così com'ero e mi hanno resa estremamente soddisfatta. A partire da una condizione tutt'altro che di successo.
Ogni tanto devo proprio farmi una doccia di umiltà... una cascata di umiltà e ricordarmi che ho bisogno di altri per essere felice, perché, non solo, come ci dice la nostra amica Sara - e in realtà Aristotele - "L'uomo è un animale sociale",ma anche perché l’uomo è un essere mancante in attesa di compimento.
Immagine: Matilde Mariani, Tramonto sulla terrazza, Atene.
Questo pezzo è stato scritto a quattro mani con la prof Rosanna di Federico, che tra l'altro è anche l'autrice del messaggio di cui parlavo prima, che ci tengo a ringraziare perché ha dato un gran valore aggiunto al pezzo e mi ha risvegliata ricordandomi di non accontentarmi.
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