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Volermi bene

Aggiornamento: 12 nov 2021

È un periodo particolarmente bello della mia vita, uno di quelli in cui cerchi con la coda degli occhi da ogni parte la fregatura, perché la situazione è troppo poetica e idilliaca per essere vera o, se anche lo fosse, per durare a lungo.

Così mi godo questo tempo con entusiasmo, destreggiandomi tra tutte le novità che costellano le mie giornate senza lasciarmi la possibilità di non essere meravigliata di qualcosa.

Il rischio che ne deriva è paradossale, che tutto quello che ho sempre considerato ordinario, normale, difetto di fabbrica delle mie giornate, inizi davvero a starmi stretto: non riesco ad accontentarmi, nè ad accettare che qualcosa non vada, che la giornata possa essere sottotono, perché tutto deve tendere alla straordinarietà che mi fa gustare la vita così intensamente in questi giorni.

Che poi tanto straordinario non è, semplicemente, si tratta del lento e agognato ritorno alla normalità che sembra sempre più concretizzabile e mi fa rivedere tutto come un dono: dall'appartamento in cui mi trovo, alle lezioni - che da oggi prevedono la capienza massima - e via andare.


Tutto ciò che si riduce a questo ordinario che tanto mi sta stretto, non è altro, appunto, se non i difetti di fabbrica che si trovano in una qualsiasi giornata: nel mio caso può essere la mia strutturale incapacità a socializzare con estranei che non sia per sparare agghiaccianti battute - chi mi conosce sa - o gli attacchi di tristezza che mi prendono nel momento in cui mi accorgo di non essere all'altezza delle aspettative che qualcuno - tendenzialmente io, tra l'altro - ha su di me. Questo non è più accettabile, mi fa scoppiare come una mina perché sento come se di fronte a tutta la bellezza che sperimento nella giornata, per questa fatica non ci possa essere posto.

Mi arrabbio con me stessa e mi autoammonisco perché non dovrei farmi prendere da questa nostalgia: devo ignorarla e limitarmi ad essere il più prestante e meno timorosa possibile, esercitarmi a dire la frase giusta al momento giusto per essere soddisfatta di me.

Ci sono molte conquiste che al momento mi stanno permettendo di vivere di rendita nella situazione in cui mi trovo e non mi fanno cadere nel baratro di desolaizone che mi prende sistematicamente quando devo affrontare un - anche minimo - fallimento. Ma, quando la forza di inerzia dell'ultimo votone all'esame della sessione autunnale se ne sarà andata, mi ritroverò col culo per terra a dover cercare - per l'ennesima volta - una ragione per non sentirmi un fallimento su tutti i fronti?


Ora che ho tutti gli strumenti in mano per vivere al meglio - nella vita concreta - l'università, ciò su cui più devo lavorare è il volermi bene. Cosa questo implichi non lo so ancora fino in fondo, ma penso basti partire dall'approfondire - ad esempio - perché da una battuta mal riuscita - ahimè, episoldio molto frequente in una giornata sola - derivi un momento di sconforto evidentemente sproporzionato che non riesco ad ignorare. Questa tristezza mi può servire a qualcosa?


Di questo non ne ho idea, so che proprio questa sera, quando il sentimento mi ha pervaso, il solo pensiero di approfondirne l'origine mi ha fatta agghiacciare. È qualcosa di inconcepibile per me dedicare tempo alla tristezza in maniera critica e costruttiva: quando mi capita di soffermarmici è solo per crogiolarmi in una comoda e calda autocommiserazione, che lascia il tempo che trova e aspetta la sua fine tra le braccia dell'insulto di un amico che mi mette davanti al tempo perso a piangermi addosso.


È la prima volta che ipotizzo che volermi bene non significhi cedere all'autocommiserazione - che, ammettiamolo, sulla carta sembra il miglior modo per essere misericordiosi con se stessi, nonché mio sport preferito - ma affrontare davvero la fitta nebbia dello sconforto, armati a fino ai denti, pronti a combattere - o accogliere - ciò che vi si cela. Sicuramente sarà più complesso, soprattutto decifrare la coltre di pensieri che avvolgono i miei momenti, ma d'altra parte è veramente l'unico modo per accettare, con una doccia di umiltà - che mai potrà nuocere alla sottoscritta - di non poter essere il massimo, ma comunque poter tendere alla perfezione, anche se, forse, irraggiungibile.


Per quanto riguarda i difetti di fabbrica forse ci saranno fino alla fine della mia vita, ma, per quanto irritanti, mi permettono di sorprendermi con molta più gratitudine di fronte a qualcosa di bello, perché mi costringono all'evidenza che nulla è scontato, soprattutto in un tempo come questo, e mi fanno interrogare con un'insistenza assordante su come voglio veramente vivere.


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