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fuoriposto

Aggiornamento: 12 nov 2021

Avrei a breve un esame ma ho l'esigenza di scrivere di getto come mi sento ora.

Il vizio di procrastinare, che mi contraddistingue, mi permette di scrivere di getto un pezzo, nel momento meno opportuno, quando ormai scrivo una volta al mese se va bene.

Ho avuto un periodo particolarmente difficile: come avevo raccontato, ho preso una serie di fallimenti uno dietro l'altro e credevo che di aver sbagliato tutto. (Dopo aver dato due esami poi, sai che criterio...)


Però finalmente l'altro ieri un esame è andato starordinariamente bene, molto più di come mi sarei mai potuta aspettare, e subito tutte le paranoie sono sparite.

Mi sentivo estremamente motivata a tentare la missione suicida dell'esame successivo (dopodomani) perché tanto niente mi avrebbe fermata, ero in grado e me ne potevo finalmente rendere conto dai risultati.

La carica è durata un giorno solo perché ieri sono risprofondata nella mia più misera umanità che mi ha fatta schiantare di faccia sul fatto che io non sono le mie prestazioni.

Non solo non sono la bocciatura all'esame della patente, ma nemmeno il fantastico voto dell'altro ieri.

Credevo, per pochissimo ma molto intensamente, di poter essere in grado di fare tutto quanto perché avevo dato l'esame bene. Credevo di sentirmi legittimata a stare bene con tutti, che la vita sarebbe stata automaticamente figa per un voto.

So che è stupido ma non voglio credere che sia solo una tentazione mia.

Oggi ho dovuto fare i conti col fatto che sono fuori posto. Che mi sento fuori posto molto più di prima. Che per studiare bene devo spegnere tutto e isolarmi dal mondo. Perché mi sento radicalmente fuori posto. E anche con i miei amici più storici il mio senso di inadeguatezza che silenziosamente si è radicato, spinge sempre di più facendomi desiderare di allontanarmi.


Allora cavolo, è proprio vero che non mi basta niente. Non mi basta nemmeno avere voglia di dare il prossimo esame, non mi basta avere voglia di tornare in università, di giocare con le mie nipoti, di vedere i miei amici.

Continuo a sentirmi drammaticamente fuori posto. Ed è la batosta più grande di tutte, perché quell'euforia maledetta che mi ha preso l'altro giorno data dall'esito dell'esame, ora che è scomparsa mi fa desiderare un senso molto più grande.


Scavando veramente a fondo, è quasi umiliante ammetterlo, ma per onestà intellettuale mi tocca, la mia fierezza derivava dal desiderio di approvazione: la voglia di dirlo ai miei amici, di sentirli la sera, di parlare con loro. Volevo essere guardata in modo diverso perché ce l'avevo fatta, mi sembrava di meritarmi di sentirmi amata perché avevo preso un bel voto.

Alla fine a me del voto non frega niente, se non posso sentirmi voluta bene dalle persone con cui lo condivido.


Tirando le fila, ho imparato che se guardato nel modo sbagliato, come chiave per risolvere tutti i problemi, un successo forse è ancora più amaro di un fallimento, perché gli si caricano su tutte le aspettative di una vita che non reggono più di dieci minuti: come mettere una valigia enorme sopra una formica, pretendendo anche che te la porti in giro e poi incazzarti perché non lo può fare.


Volevo davvero tanto farcela e ora che mi rendo conto che ho ottenuto quello che volevo e mi sento sola, mi fa quasi incazzare, perché se fossi stata bocciata, paradossalmente, avrei avuto una spalla su cui piangere.


Non voglio che sia una lamentela, solo una costatazione neutra dei fatti: se mi muovo verso qualcosa è per sperimentare un amore su di me, che nessuno mi può dare e questo senso di inadeguatezza che provo al momento ne è la dimostrazione più chiara e dolorosa.


Forse è questo il punto più affascinante però, per quanto al momento per me sia un pungolo fastidioso: la necessità di desiderare sempre oltre sapendo che non ci basterà niente e l'inquietudine mossa dalla necessità di trovare un posto da chiamare casa veramente.


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