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Facio ergo sum (?) Cosa ci rende perfetti?



L'argomento di oggi mi sta particolarmente a cuore, soprattutto in questi giorni, perché tocco un nervo scoperto che mi fa sempre saltare per aria e a volte fa anche un po' male: il rapporto con se stessi.


In linea teorica è tutto facile, la società ce lo sbatte sempre un po' in faccia, no? "Sii gentile con te stesso", "vai bene così", "il tuo corpo è perfetto" e tutti dovremmo essere felici come pasque perché Vanity Fair ha detto che non avere il fisico di Emily Ratajkowski va bene, è giusto, è comprensibile, va quasi di moda essere "curvy" non vi preoccupate! Quasi con un fare di sufficienza tanto per dire "ma sì, vai bene anche se sei così".


Nella mia carriera scolastica stessa cosa: "Non dovete vivere per i voti" - e meno male, l'ho preso molto alla lettera come consiglio - "non vi preoccupate, una valutazione non vi determina" e via dicendo.


Così vale anche per qualsiasi altro ambito della mia vita e, penso, anche quella della metà degli adolescenti, forse anche adulti.

Nessuno, almeno di regola, ti verrà a dire che devi essere perfetto. Ma in un certo qual modo è un tacito accordo intessuto nei rapporti sociali.


Per quanto cerchi di vivere tutto con calma e prendere le cose alla mia misura, finisco spesso per ritrovarmi - un po' come mi sta capitando in questi giorni - in una sorta di limbo, in cui tutto quello che dico, faccio, penso, è misurato da qualcuno.

Devo dire una cosa abbastanza intelligente, devo fare un certo numero di pagine e riuscire a giocare con le mie nipoti, lavorare, seguire le videolezioni e poi, se mi avanza tempo, andare anche a correre perché non mi peso da mesi e non ho idea se ingrasso o dimagrisco - come se poi qualcuno se ne accorgesse dato che siamo rinchiusi in casa - ma comunque nel dubbio è sempre meglio perdere qualcosa, no?


Alla fine, questa impennata entusiastica si scontra sempre contro due limiti, quello considerevole della finitezza umana e quello insormontabile della mia pigrizia - e vi garantisco che quei due vanno a braccetto nella mia vita, mannaggia a loro.


Non penso di parlare solo per la sottoscritta se dico che accettare questa cosa risulta pressoché impossibile: insomma, devi riuscire a fare pace con te stessa perché sei andata a letto alle tre del mattino perché non avevi sonno e hai chattato con chi era sveglio, ovviamente ritardando la sveglia della mattina seguente dove per le otto, nel tuo immaginario, dovevi aver già fatto quattro corse - che poi nemmeno riesco a farne una in condizioni normali - 18 allenamenti diversi, riletto gli appunti - quando mai - e se hai tempo - ma ce l'hai perché sei il prototipo di oltreuomo nietzschiano - anche colazione, ma non è essenziale perché tanto le persone in gamba saltano i pasti (non l'avete visto Il Diavolo veste Prada?).

E, puntualmente, alle dieci del mattino, apri gli occhi e realizzi che la sveglia ha fatto il suo dovere con tutti gli altri abitanti della casa, tranne che con te; ovviamente apri Instagram e la pseudo influencer che segui ha fatto tutto quello che avevi in mente tu, si è truccata - per stare in casa!! - e, bonus, è anche dodici volte più bella.


A quel punto realizzi che anche quella giornata è stata sprecata e inizierai ad essere una persona migliore domani.


Il giorno seguente cambierà qualcosa?

Non saprei in assoluto... a me no.


Mi trovo quindi di fronte a due scelte: riempirmi di roba da fare fino a quando non ci riesco - tendenzialmente la mia preferita - o accettare che forse forse non è questo il punto.


Prima ho passato una cosa come mezz'ora a guardarmi la pelle che è tutta rovinata e mi sono arrabbiata con me perché ho iniziato a curarla tardi. Mezz'ora. E, sorpresa delle sorprese, in quella mezz'ora avrei potuto mettermi a studiare invece che andare alla ricerca del capro espiatorio delle disgrazie dell'acne - che, tra l'altro, sono io del passato, non posso nemmeno farmi causa.


Non vorrei sembrare uno di quei siti che parlano di auto-accettazione perché mi innervosiscono da morire e fanno sembrare tutto così facile dicendovi "bene ora basta".

No, non è facile. Io non mi piaccio ed è difficile che mi possa sentire veramente soddisfatta di me stessa. E comunque anche se mi dovessi sentire soddisfatta, tutto andrà in fumo dopo la minima critica smossa anche con l'intento più costruttivo e nella maniera più docile possibile nei miei confronti, dal mio più caro amico, che probabilmente mi ha detto che devo darmi una calmata perché mi agito troppo.


E via che si riparte: non è che dopo anni di amicizia possa fidarmi del fatto che sia una critica per il mio bene, no. "Ti agiti troppo" significa - in un codice che solo io posso decifrare, dato che la gente normale non coglie dietrologie - che non mi sopporta più e devo diventare un'amica migliore se voglio continuare questo rapporto.

Così inizio a chiedermi dove ho sbagliato e cerco di perfezionare una routine ancora più nel dettaglio di modo che l'amico - a questo punto malcapitato - in questione capisca che sono perfetta dato che ho fatto tutto e anche con calma - cosa non vera ovviamente, ma mica posso dirgli che mi sono agitata troppo.


A quel punto credo di essere la migliore.

E lì crollo perché ho sonno, ho fame e mi è venuto un male incredibile agli addominali perché non li facevo dall'ultima impennata che sarà stata un mese fa più o meno.


Non riesco a concepire una persona non perfetta che sia felice, anche se, d'altro canto, non conosco una persona perfetta e, probabilmente, nemmeno riuscirei ad esserle amica.


Chiunque potrebbe dirmi che è normale non essere perfetti, ma io lo vedrò sempre come un limite che non mi fa rendere apprezzabile dalle persone che mi vogliono bene - e quindi mi fa anche mettere in dubbio se sono davvero voluta bene da qualcuno - , continuando in questo loop maledetto in cui se non sono abbastanza prestante - ma per chi poi? - non mi merito nulla.


Dal mio tono ironico penso emerga come, in fondo, sia conscia dell'assurdità della cosa, ma ne sono costantemente schiava e, per quanto ora ne stia scrivendo con consapevolezza, se domani mattina ripeterò lo stesso cinema narratovi poco fa, sarò punto a capo.


Permettetemi di far notare come la perfezione a cui ambisco - e credo di non essere l'unica - deriva dal verbo latino perficio, che significa compiere. Essere perfetti vuol dire essere compiuti, finiti.

Non penso possa chiudere tutte le questioni che ho aperto fino ad ora, né risolverle - perché altrimenti non sarei qui a scrivere tutte le sere - ma, negli intervalli di lucidità tra un'impennata e l'altra, mi chiedo come possa compiermi interiormente avere la pelle senza acne e una routine perfettamente organizzata al secondo. E questa domanda a un certo punto mi risolleva.


Non penso sia sbagliato cercare di migliorarmi, anzi.

Vorrei davvero andare a correre tutte le mattine e saper ripetere e schematizzare tutte le pagine che devo preparare per arrivare giusta all'esame, ma non perché io mi riduca a quello.

La mia intuizione la sera di organizzarmi la giornata seguente parte bene, ma finisce a ridurmi come una lavatrice - passatemi il paragone, vi prego - : imposto il programma, faccio partire e spero che non si rompa. Ma alla fine io mi rompo sempre, perché non funziono così.


Voglio andare a correre perché ci sono gli alberi che stanno perdendo le foglie e c'è un gioco di colori spettacolare fuori, perché così non ho mal di schiena a stare seduta davanti a uno schermo tutto il giorno e perché è estremamente bello prendersi una boccata d'aria fresca di prima mattina.

Voglio finire il capitolo perché mi dà soddisfazione ripetere e perché l'esame mi piace tantissimo, perché poi posso confrontarmi con i miei amici che, a loro volta, fanno facoltà che amano.


L'idea parte bene, ma poi sposto il focus quando inizio a credere che tutto quello che farò mi determinerà come persona e che se non lo facessi smetterei di valere. A quel punto finisco per cedere la qualità delle cose per la quantità e perdo subito il gusto di tutto.


Io voglio essere perfetta nel senso più bello del termine, voglio vivere appieno tutto per potermi sentire compiuta appieno: gustarmi la vita al di là delle pagine che potrò ripetere o della perfezione di unghie, capelli o pelle.


Voglio fare le cose perché è bello farle, non perché devo.


Come sempre, aspetto di sapere cosa ne pensate.



 

Immagine: Matilde Mariani, Ventilatore

Questa la racconto io: eravamo io, lei e Giorgia, una nostra amica, a Firenze e stavamo per andare al concerto di Ed Sheeran, faceva un caldo atroce.

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