Noi ci siamo
- cosessenziale
- 9 nov 2020
- Tempo di lettura: 3 min

Ieri mentre stavo studiando, riprendendo le lezioni lasciate indietro, appoggiata mollemente sul divano pensavo che questo lockdown alla fine, poi così male non lo era.
Arriva una chiamata. La mamma delle bambine a cui faccio da babysitter mi dice con un’inaudita flemma: “Ciao Chiara, volevo solo dirti che ieri abbiamo fatto il tampone… siamo tutti e quattro positivi. Oh, e mia figlia vuole farti un saluto”. “Oltre il danno anche la beffa”, penso, mentre la piccola mi aggiorna sulla sua mancata nanna a causa della scomparsa del ciuccio.
Ho appena scoperto di poter essere positiva.
Dieci secondi, mia sorella esce di casa per andare a prendere mia nipote all’asilo e mi rinchiudo in camera. Per una settimana almeno devo starci.
Scrivo al dottore una mail per capire sul da farsi e tutt’ora attendo risposta.
Sono sola da poco meno di 24 ore e già questa condizione mi sta stretta.
Spesso, circondati da bambini urlanti, l’isolamento in qualche modo lo si brama. Ma questa volta mi sta tutto stretto.
Ho sentito i miei amici tutto il tempo… messaggi, videochiamate, non sono stata ancora sola e già tutto mi sta infinitamente stretto.
Poi c’è il senso di colpa. Ho infettato qualcuno? Sono positiva io? A chi potrei aver fatto del male… Panico.
Il giro di telefonate per avvisare amici e parenti che forse sono la portatrice di un virus potenzialmente letale e che “sì sono stata attenta” ma “no, forse non avremmo dovuto vederci”.
“Ho sbagliato”, “non dovevo venire a trovarvi”, dice l’altra mia sorella, dopo un mese e mezzo che non ci vedeva.
A fine giornata – o inizio, perché le due del mattino non sono certo convenzionali per andare a letto – sento un ultimo caro amico e spengo tutto.
L’isolamento se si fa, si fa bene, o almeno credo.
I dispositivi elettronici, proprio come quello su cui sto scrivendo ora, mi stanno devastando. Mi distruggono. Mi sento estremamente misera e sola e, per quanto voglia compagnia, non voglio la carità di nessuno.
Non mi serve gente con cui passare il tempo visto l’ingente numero di pagine da studiare e le ore di lezione (a questo punto direi provvidenzialmente) lasciate indietro. Mi serve sapere che gli altri ci sono e che non sono sola. Ho bisogno di essere certa che ora per mia sorella ho un valore anche se sono reclusa e non posso aiutare. Che non sono solo un peso morto o un Minotauro nel Labirinto a cui lanciare un pasto agli orari giusti.
E invece che trovare una soluzione e capire come darmi da fare, come trarre il bello da questa scomodissima situazione, smetto di mangiare. Un po’ è il senso di colpa perché non mi dovrei meritare di mangiare considerando che non faccio nulla, un po’ è la mancanza di fame, un po’ è la paura di mettermi in gioco veramente in questo isolamento perché dalle 15 di ieri alle 11 di oggi, tutto quello che è successo in questa camera mi ha solo delusa.
Dopo un paio d’ore a cercare di ignorare che il sole è sorto, mi alzo in piedi e vado al computer per sapere se la dottoressa mi ha risposto.
Nulla.
Mi sento sola.
Tra le mail, nel reparto degli aggiornamenti, è lampante una notifica.
Leggo l’anteprima.
Sephora mi scrive: “Chiara, noi ci siamo…
con il 20% di sconto su tutti i prodotti”.
Immagine: Morning sun, Edward Hopper
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