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Il più fallito dei sognatori

Aggiornamento: 12 gen 2021

Un anno di fatica, fatica immonda. Ho sudato e ho sofferto, ma non mi pesava - no, davvero, ve lo garantisco - ogni giorno quel lavoro così opprimente e logorante era alleviato da una speranza. Ma che dico speranza? È una certezza. Quando sarebbe arrivata lei, tutto sarebbe passato. E anche sapevo il giorno esatto, quando sarebbe arrivata. Tornava sempre. Tornava ogni anno. Proprio in quel giorno.


Lei era sempre piena di speranze e non mi guardava mai per i fallimenti che mi portavo dietro dall'anno precedente. Arrivava così: leggiadra, luminosa e sorridente. Radiosa. E ogni anno quando arrivava la guardavo incantato. Sorrideva.


Era così bella, pareva essere incorruttibile. Le notti quando si avvicinava il giorno del suo arrivo, non riuscivo a riposare. Mi rigiravo nel letto infinite volte, ancora e ancora, senza mai darmi pace, perché la promessa del suo ritorno mi rendeva immensamente lieto. Entusiasta!


Lei era l'unica che non mi guardava per quanto ero grande, ma perché ero lì. Così tornava e tornava. E appena faceva ritorno a casa sua - siete mai stati innamorati anche voi, sì? - sentivo la sua mancanza, perché un giorno per sentirla tra le mie braccia era davvero troppo poco.


Col passare degli anni emergono però anche i difetti della relazione, sapete? Oh ma io non smettevo di amarla. Non smettevo di attendere il suo ritorno. Ogni anno le ferite che mi infliggeva nel silenzio si facevano più grandi, ma non potevo non perdonarla.


Come quel giorno in cui è arrivata per poi abbandonarmi prima del tempo. Aveva da fare, non poteva stare lì. Giustamente, aveva da fare perché, certo, era come tutti. Aveva da fare come tutti. Era come tutti? Sì, era come tutti. Aveva da fare e non vedendomi da un anno, ha ben pensato di abbandonarmi da solo, senza di lei.


Ma no, io l'ho perdonata. L'ho aspettata e l'anno dopo è stata con me, ben tutto il giorno! Beh, si vedeva che stava invecchiando. O forse solo la stavo conoscendo. Ma amavo i suoi difetti, davvero.


Doveva arrivare, doveva arrivare anche questo anno. Ho lavorato sempre rallegrato dall'attesa del suo ritorno. Tutti questi anni attendevo che tornasse.

Ma stiamo crescendo, io cresco, i miei fallimenti aumentano e lei, lei è sempre bellissima, ma non mi basta. La sua avvenenza è divenuta irrimediabilmente amara. Vederla lì che mi sorride, nonostante io sia straziato dalla fatica mi fa soffrire ogni anno di più.

Perché non mi sente gridare? Perchè non mi sente piangere? Perché mi ignora mentre sono distrutto dalle piaghe? Perché non parla?


È crudele, estremamente crudele. Sta in piedi di fronte a me, col suo ammaliante sorriso e il suo candido vestito. Resta bella come la prima volta che l'ho vista. E io l'attendo, attendo che arrivi e non fatico mentre lavoro perché la mia mente è rivolta a lei, che torna, sta per tornare.


Durante l'anno sono preso da un'amnesia tale da rendermi lieto nell'attesa e i suoi difetti, la meschinità, non emergono.

Ma lei sta arrivando, arriverà tra poco. Sento le ruote del carro, gli zoccoli dei cavalli che battono sul suolo e un brivido mi risveglia e mi corre lungo tutta la schiena. Tremo dal terrore, non la voglio vedere.


Così mi chiedo perché tutto torna alla mente ora? Il sentore di soffocamento che precede il suo arrivo, so che mi coglierà impreparato.


Lei mi guarderà, là ferma, di fronte ai miei fallimenti, al mio dolore, allo strazio che provo. Sono così misero e solo. Valgo così poco.


Man mano la memoria riaffiora, passo dopo passo, più sento il carro avvicinarsi, più ricordo chiaramente. Il suo non era un sorriso, non è mai stato un sorriso, ma una crudele risata.


Sta per tornare e so che riderà di nuovo. Riderà con la cattiveria nello sguardo. Riderà di me.


Ecco perché tornava. Solo per ridere di me. Riappare il ricordo del suo sorriso che lentamente si deforma in un ghigno maligno e lei che ride di nuovo, spregevole.


Per tutti questi anni la sua avvenenza mi ha reso cieco, non vedevo nulla più dell'attrattiva che mi faceva nutrire speranza in lei. E quanta speranza. E nonostante la mia sofferenza le spalancavo la porta sperando in un cambiamento, una parola di conforto o forse solo un abbraccio. Illuso.


Ora non provo più nulla se non ribrezzo e terrore.


Posso affrontarla questa volta, non farmi cogliere impreparato e mostrarle che non può ridere di me. Ma la cosa migliore forse è solo tornare a letto e non aprire la porta, sperando che l'anno prossimo non torni.


In lei nutrivo aspettative e speranze, sognavo che nonostante fossi un fallito, avrebbe saputo cambiare le mie sorti. Ma anche nel sognare, ecco un ennesimo fallimento, di fronte al quale, scesa dal carro riderà.

 
 
 

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